I miei lavori su ewriters

mercoledì 17 febbraio 2016

Deuxième cercle

Nuda. Il tuo corpo brilla pallido alla luce di questa luna che osserva ammiccante il trionfo della carne a cui ci abbandoniamo. Lo facciamo per passione, per debolezza: involucri vuoti che danzano meccanicamente l'uno dentro l'altra e selvaggi, bruciamo di desideri effimeri.
Selvaggia è la società che con la sua ostentata pudicizia reprime le passioni e attanaglia gli istinti; selvaggia è questa notte in cui mi perdo tra le tue braccia, tra i tuoi seni, carico di quell'ardore che assomiglia ad un urlo in una caverna: si amplifica fino a stordire. Selvaggio sono io; come te, che affondi sotto di me, aggrappandoti invincibile alla mia schiena.
Pompa sangue il cuore e continua a pulsare fin dentro le tempie, le tue, che sento agitarsi sotto le mie mani mentre ti tengo la gola; mentre il tuo respiro pesante, ansimante, mi accarezza l'orecchio che trema come se vivesse solo per sentire quella dolce quanto irruenta melodia capace di bucare la notte. 
Il resto è solo l'altra faccia del piacere: schiaffi, morsi, unghie che penetrano la pelle e la sfrenata sete di dominio sull'altro che mi vede steso sotto di te; che ti vede in ginocchio davanti a me; che ci pervade e ci rende complici. Complici e nemici. Nemici e umani. Umani e animali. E poi di nuovo uomo e donna e di nuovo complici di questo caos di pelle, coperte e orgasmi.   

giovedì 4 febbraio 2016

Stones into the void

Un'indescrivibile senso di vuoto, come quando, appena addormentato, ti sembra di cadere giù. Una pietra che ruzzola veloce in un burrone e poi solo l'eco di una sorda caduta.  E tu, tu scivoli, rotolando in fondo a quello stesso nulla che è solo un'enorme pattumiera: carcasse di ricordi, pezzi di vita abbandonati, ombre, rimorsi e una nebbia fittissima che offusca la mente. Persi; persi nel tempo, persi nelle giornate,  persi in una illusione che, come vetro, cade, si spacca e ferisce; persi, ancora una volta, in quel maledetto taglio che ogni sera torna a far male e leccarsi le ferite, aspettando che tutto passi.
- Tanto alla fine tutto passa -
Tutto passa, a parte me, il mio sudore, il mio sangue, la fatica e la testa altrove.
- È che siamo fragili, ecco come siamo -
- Dobbiamo essere forti -
Si, tutti forti; di metallo; e freddi. Forti come un sorriso appeso a due occhi spenti, forti come l'inerzia che brucia qualsiasi iniziativa, forti come chi si prepara a tuffarsi da uno scoglio, ma poi si ferma, guarda il mare e aspetta ancora un po'. 



lunedì 4 gennaio 2016

Mirrors

Luci spente, inghiottite  dal freddo buio di quattro mura, illuminate a tratti solo da qualche piccolo scorcio di luce proveniente dalla strada. Allo specchio la mia figura si mescola al nero intermittente di questo silenzio: una sagoma quasi deforme, immobile davanti alla sua immagine. Ne studio i lineamenti, ma non mi ci rivedo. È un qualcosa di indefinito ciò che mi appare dall'altro lato; quasi inumano o animalesco; un soprammobile ingombrante in uno spazio stretto e affollato. Stretto e soffocante. Scruto quel riflesso che non mi appartiene e lui di rimando mi sorride. Sorridiamo. Forse ho semplicemente cominciato io, oppure sono proprio io. Non riesco più a comprenderlo. 
Mi avvicino allo specchio che impassibile assiste a questo teatrino a lume di fari d'auto e vedo la figura assumere le sembianze di un qualcosa di più simile a me. Ma non è me. Mi avvicino ancora; mi avvicino fino a fondermi con lo specchio; fino ad assorbire quella figura meschina e sentirla sparire dentro di me. Oppure sono stato io a scomparire. Di fatti, siamo ancora qui e fissiamo la stessa cosa, noi due; e sorridiamo. Dall'altra parte c'è qualcosa di buffo e di distorto, eppure siamo soltanto l'uno il riflesso dell'altro. Basta decidere da che lato guardare.


sabato 19 dicembre 2015

Tiptoeing

Credevi dimenticassi?  Ho solo chiuso gli occhi per un attimo e ti ho vista lì, in punta di piedi, tornare indietro; fermarti per un secondo e cercare nel vuoto di questa stanza il senso di quell'abbandono fragile e di quell'affannata ricerca che sono metafora della nostra esistenza. I profumi, gli odori, i silenzi ancora impressi sulla pelle che, fragile anch'essa, si è aperta e adesso brucia di quella realtà che ha contaminato la stessa stanza da cui ora cerchi di scappare. L'ho fatto anche io, d'altronde: si scappa sempre, il più velocemente possibile e in maniera piuttosto brusca; così tanto da ferire, senza volerlo. Lo hai provato; lo hai provato di nuovo. Ferirsi e ferirsi ancora,  fino ad impazzire dal dolore. Lo hai fatto e non vuoi più farlo. Perciò hai girato ancora un po', hai raccolto le cuffie, ti sei guardata allo specchio e hai sorriso; uno di quei sorrisi indifferenti che si sciolgono al sole. Lo stesso sole che mi ha fatto riaprire gli occhi e che ha illuminato la stanza. E tu non c'eri più. 

lunedì 30 novembre 2015

Little Letter

Ciao ragazzina. Ti ho vista, sai? Eravamo uno a fianco all'altra, appena entrati nella metro, anche se tu, giustamente,  non hai fatto caso a me. Di fatti, non ne avevi motivo. Ma io, di motivi ne avevo tanti. Sono un osservatore,  principalmente, e tu eri bellissima. Ti ho vista, non solo quando, insieme, abbiamo varcato la soglia delle porte, ma lo avevo già fatto prima, mentre con passione ti stringevi a lui. Vi baciavate. Si, ho dato una sbirciatina e ho visto le vostre labbra chiudersi in un abbraccio che vi nascondeva e vi proteggeva dalla frivolezza di questo mondo fatto di chiacchiere inutili e borse piene di regali osceni. Ho immaginato lo stesso mondo che vi si sgretolava intorno, mentre, indifferenti, vi sorridevate con occhi socchiusi. Eravate l'espressione del piacere ed io, dal basso della mia poltroncina di spettatore, ho cercato di catturare e assorbire tutto quel calore che trasmettevate. Tutta quella magia! Poi le porte si sono chiuse, l'abbraccio si è spezzato e voi, quasi come in una  gabbia, continuavate a cercarvi; i vostri occhi, le vostre bocche protese verso il vetro hanno continuato a stringersi finché il treno, vero antagonista di questa storia, vi ha reso dei puntini.
Cara ragazzina, sei rimasta con la mano sul vetro, con gli occhi sognanti e io ti ho vista, in quel tuo cappottino verde, quelle calze mezze rotte, in quel grigiore che ti ha avvolto e, scusami, ma non sono riuscito a toglierti gli occhi di dosso. Avrei voluto darti conforto, dirti che purtroppo la vita è un perenne treno in partenza. Ti avrei voluta stringere, ma fraternamente, senza malizia, per farti capire che le persone vanno e vengono, che ci piaccia o meno, che siamo pronti oppure no; che per quanto ci si voglia rincorrere,  a volte bisogna solo proseguire e dolorosamente guardare gli amici, il fidanzatino di turno, o i propri genitori diventare dei puntini che si perdono all'orizzonte. Eppure,  non ho mosso un dito; ho ingoiato tutta quella stupida realtà che tu, immersa nel tuo bel cappottino,  ancora bellamente ignoravi. Io potevo aver motivo di guardarti, ma non di distruggerti. Eri bellissima ed eri preziosa per questo: non conoscevi la disillusione.

lunedì 9 novembre 2015

Empty gaze

Porta chiusa, luce accesa e occhi aperti sul vuoto. Fisso quell'abisso che si trova  al di là delle pareti di questa stanza, oltre il soffitto, oltre i palazzi; lontano dalla città, dai rumori, dalle sirene, dal mondo.
Un abisso dal colore indaco, che diventa sempre più scuro fino a mescolarsi al buio di questo cielo che, a un tempo, paralizza e assorbe. Rimani immobile, quasi pietrificato, al cospetto della sua immensa grandezza che ti fa sentire indifeso e insignificante, al punto che ti viene da sollevarti sulle punte e tendere le braccia, come in una preghiera, per farti accogliere e proteggere da quelle luci, così vicine eppure così lontane.
Il resto è una fiera di pensieri. Maledetti. Vanno, vengono, si incrociano e combattono tra loro. Improvvisamente la mia stanza si trasforma in un'intersezione stradale, dove si incrociano centinaia di strade, centinaia di persone, una miriade di casi fortuiti, il passato, forse il futuro ed io al centro, seduto sul divano, con gli occhi aperti sul vuoto.

Slink

Passeggio nel silenzio di una piazza gremita di persone,  tra grida e risate; angosciato tra volti distorti, tristemente sorridenti, che si sciolgono sulla tela ingiallita di becere finzioni.
Passeggio tra i miei pensieri, che si affollano intorno a me e mi circondano come in una lapidazione.  Eppure li scanso nel silenzio. Lo stesso silenzio delle carte su cui scrivo e poi cancello; su cui riscrivo e poi straccio, accartoccio e alla fine butto. È tutto un grande immondezzaio qua intorno,  fatto di bozze, scarabocchi, riflessioni perdute e inchiostro buttato.
E io passeggio in questo vuoto, che è silenzio e passi.
Foto di Nicola Albon (sliceoflondonlife.com)