I miei lavori su ewriters

lunedì 4 gennaio 2016

Mirrors

Luci spente, inghiottite  dal freddo buio di quattro mura, illuminate a tratti solo da qualche piccolo scorcio di luce proveniente dalla strada. Allo specchio la mia figura si mescola al nero intermittente di questo silenzio: una sagoma quasi deforme, immobile davanti alla sua immagine. Ne studio i lineamenti, ma non mi ci rivedo. È un qualcosa di indefinito ciò che mi appare dall'altro lato; quasi inumano o animalesco; un soprammobile ingombrante in uno spazio stretto e affollato. Stretto e soffocante. Scruto quel riflesso che non mi appartiene e lui di rimando mi sorride. Sorridiamo. Forse ho semplicemente cominciato io, oppure sono proprio io. Non riesco più a comprenderlo. 
Mi avvicino allo specchio che impassibile assiste a questo teatrino a lume di fari d'auto e vedo la figura assumere le sembianze di un qualcosa di più simile a me. Ma non è me. Mi avvicino ancora; mi avvicino fino a fondermi con lo specchio; fino ad assorbire quella figura meschina e sentirla sparire dentro di me. Oppure sono stato io a scomparire. Di fatti, siamo ancora qui e fissiamo la stessa cosa, noi due; e sorridiamo. Dall'altra parte c'è qualcosa di buffo e di distorto, eppure siamo soltanto l'uno il riflesso dell'altro. Basta decidere da che lato guardare.


sabato 19 dicembre 2015

Tiptoeing

Credevi dimenticassi?  Ho solo chiuso gli occhi per un attimo e ti ho vista lì, in punta di piedi, tornare indietro; fermarti per un secondo e cercare nel vuoto di questa stanza il senso di quell'abbandono fragile e di quell'affannata ricerca che sono metafora della nostra esistenza. I profumi, gli odori, i silenzi ancora impressi sulla pelle che, fragile anch'essa, si è aperta e adesso brucia di quella realtà che ha contaminato la stessa stanza da cui ora cerchi di scappare. L'ho fatto anche io, d'altronde: si scappa sempre, il più velocemente possibile e in maniera piuttosto brusca; così tanto da ferire, senza volerlo. Lo hai provato; lo hai provato di nuovo. Ferirsi e ferirsi ancora,  fino ad impazzire dal dolore. Lo hai fatto e non vuoi più farlo. Perciò hai girato ancora un po', hai raccolto le cuffie, ti sei guardata allo specchio e hai sorriso; uno di quei sorrisi indifferenti che si sciolgono al sole. Lo stesso sole che mi ha fatto riaprire gli occhi e che ha illuminato la stanza. E tu non c'eri più. 

lunedì 30 novembre 2015

Little Letter

Ciao ragazzina. Ti ho vista, sai? Eravamo uno a fianco all'altra, appena entrati nella metro, anche se tu, giustamente,  non hai fatto caso a me. Di fatti, non ne avevi motivo. Ma io, di motivi ne avevo tanti. Sono un osservatore,  principalmente, e tu eri bellissima. Ti ho vista, non solo quando, insieme, abbiamo varcato la soglia delle porte, ma lo avevo già fatto prima, mentre con passione ti stringevi a lui. Vi baciavate. Si, ho dato una sbirciatina e ho visto le vostre labbra chiudersi in un abbraccio che vi nascondeva e vi proteggeva dalla frivolezza di questo mondo fatto di chiacchiere inutili e borse piene di regali osceni. Ho immaginato lo stesso mondo che vi si sgretolava intorno, mentre, indifferenti, vi sorridevate con occhi socchiusi. Eravate l'espressione del piacere ed io, dal basso della mia poltroncina di spettatore, ho cercato di catturare e assorbire tutto quel calore che trasmettevate. Tutta quella magia! Poi le porte si sono chiuse, l'abbraccio si è spezzato e voi, quasi come in una  gabbia, continuavate a cercarvi; i vostri occhi, le vostre bocche protese verso il vetro hanno continuato a stringersi finché il treno, vero antagonista di questa storia, vi ha reso dei puntini.
Cara ragazzina, sei rimasta con la mano sul vetro, con gli occhi sognanti e io ti ho vista, in quel tuo cappottino verde, quelle calze mezze rotte, in quel grigiore che ti ha avvolto e, scusami, ma non sono riuscito a toglierti gli occhi di dosso. Avrei voluto darti conforto, dirti che purtroppo la vita è un perenne treno in partenza. Ti avrei voluta stringere, ma fraternamente, senza malizia, per farti capire che le persone vanno e vengono, che ci piaccia o meno, che siamo pronti oppure no; che per quanto ci si voglia rincorrere,  a volte bisogna solo proseguire e dolorosamente guardare gli amici, il fidanzatino di turno, o i propri genitori diventare dei puntini che si perdono all'orizzonte. Eppure,  non ho mosso un dito; ho ingoiato tutta quella stupida realtà che tu, immersa nel tuo bel cappottino,  ancora bellamente ignoravi. Io potevo aver motivo di guardarti, ma non di distruggerti. Eri bellissima ed eri preziosa per questo: non conoscevi la disillusione.

lunedì 9 novembre 2015

Empty gaze

Porta chiusa, luce accesa e occhi aperti sul vuoto. Fisso quell'abisso che si trova  al di là delle pareti di questa stanza, oltre il soffitto, oltre i palazzi; lontano dalla città, dai rumori, dalle sirene, dal mondo.
Un abisso dal colore indaco, che diventa sempre più scuro fino a mescolarsi al buio di questo cielo che, a un tempo, paralizza e assorbe. Rimani immobile, quasi pietrificato, al cospetto della sua immensa grandezza che ti fa sentire indifeso e insignificante, al punto che ti viene da sollevarti sulle punte e tendere le braccia, come in una preghiera, per farti accogliere e proteggere da quelle luci, così vicine eppure così lontane.
Il resto è una fiera di pensieri. Maledetti. Vanno, vengono, si incrociano e combattono tra loro. Improvvisamente la mia stanza si trasforma in un'intersezione stradale, dove si incrociano centinaia di strade, centinaia di persone, una miriade di casi fortuiti, il passato, forse il futuro ed io al centro, seduto sul divano, con gli occhi aperti sul vuoto.

Slink

Passeggio nel silenzio di una piazza gremita di persone,  tra grida e risate; angosciato tra volti distorti, tristemente sorridenti, che si sciolgono sulla tela ingiallita di becere finzioni.
Passeggio tra i miei pensieri, che si affollano intorno a me e mi circondano come in una lapidazione.  Eppure li scanso nel silenzio. Lo stesso silenzio delle carte su cui scrivo e poi cancello; su cui riscrivo e poi straccio, accartoccio e alla fine butto. È tutto un grande immondezzaio qua intorno,  fatto di bozze, scarabocchi, riflessioni perdute e inchiostro buttato.
E io passeggio in questo vuoto, che è silenzio e passi.
Foto di Nicola Albon (sliceoflondonlife.com)

domenica 13 settembre 2015

Time flies

Lasciatevi trasportare dal corso del tempo e dai suoi misteri e fate sì che esso prenda il sopravvento sulla vostra esistenza. Non sarà difficile realizzare, ripercorrendo il suo corso controcorrente, che la partita che ognuno di noi gioca, più che una corsa contro, è un venirsi incontro con il tempo. Le amicizie, le aspettative, gli amori e tutto ciò che ci circonda passa e si dissolve nelle meccaniche di un grande orologio che, a tempo Valzer, con la stessa melodia, la stessa forza, la stessa precisione, ci restituisce ogni secondo, ogni attimo, di quanto abbiamo lasciato indietro. Tutte le storie, i sorrisi, le lacrime, assumono un aspetto più dolce, come se fossimo stati semplici spettatori dello show di noi stessi. Le foto sembrano meno sbiadite, i ricordi più vivi, gli abbracci più sinceri; i baci poi...quelli, purtroppo o per fortuna, sempre uguali. Ma ci si ride su con una certa indifferenza, come in un gioco; come in un grosso girotondo su se stessi, dove tutto continua a cambiare, ma poi si passa la vita a raccogliere pezzi.
 

mercoledì 12 agosto 2015

Deep Thoughts

Distendersi leggiadri sulla superficie dei propri pensieri e sentirsi ad un metro da terra; lasciarsi cullare, scuotere, sommergere da questo fiume logorroico ed incostante ed essere traghettati fino alle profonde viscere del proprio io. Riscoprirlo, negarlo e rinnegarlo. E affondare in questa continua emorragia che è solo paure, frustrazioni, desideri insoddisfatti, ambizioni lasciate scivolare nella corrente. Pensare dei propri pensieri; pensare di pensare; pensare a cosa non pensare; come un continuo distruggere e ricomporre, creare e disfare, perdersi e, improvvisamente, ritrovarsi in un infinito, perverso, girotondo che alimenta e logora le menti tormentate.
 
deep thoughts by Artilin on DeviantArt