E’ straordinario constatare quanta vita ci sia in un treno. Ci sono mille
facce e mille storie.
C’è chi parte per un viaggio, chi torna, chi va a lavoro.
Chi magari va dai genitori anziani, chi torna da scuola, chi va al cinema. Chi
va dal suo amore, chi torna perché con questo amore ci ha litigato. Chi
semplicemente non ha nulla da fare, chi è nervoso e sfoga così la sua rabbia,
chi va a passare la notte fuori con i compagni di una vita. E poi ci sono io,
anonima ragazza, con anonimi vestiti, che va ad un funerale.
Preciso: non sono una che in genere va a queste celebrazioni, anche perché io e
la Chiesa non siamo molto amiche, ma questa volta era necessario. Dovevo e
volevo andarci. Anche se non avevo ancora realizzato l’atto in sé.
E’ straordinario constatare quanta vita ci sia in un funerale. Sembra un
paradosso, nevvero? E invece è così. Lascia stare le lacrime, lascia stare che
quello che purtroppo ormai non c’è più aveva solo 26 anni, lascia stare tutte
queste cose e concentrati sui particolari: le magliette colorate, i palloncini,
le risate sottili degli amici che ricordano quell’evento particolare, la
bellezza delle locandine di tutti i suoi spettacoli teatrali. I colori, quei
pochi tra la valanga di nero e grigio.
Ed è in questi momenti maggiormente che è straordinariamente triste
constatare quanto può essere breve la nostra vita. Lo diceva anche Seneca, nel
suo splendido De brevitate vitae, che
guarda caso è la cosa che ricordo con più piacere dei tempi del Liceo e che mi
gironzola in mente da ieri notte. E in particolare, mi viene in mente un passo,
che recita così:
“Ognuno brucia la sua vita e soffre
per il desiderio del futuro, per il disgusto del presente. Ma chi sfrutta per
sé ogni ora, chi gestisce tutti i giorni come una vita, non desidera il domani
né lo teme. Non c'è ora che possa apportare una nuova specie di piacere. Tutto
è già noto, tutto goduto a sazietà. Del resto la sorte disponga come vorrà: la
vita è già al sicuro. Le si può aggiungere, non togliere, e aggiungere come del
cibo ad uno già sazio e pieno, che non ha più la voglia ma ancora la capienza.
Non c'è dunque motivo di credere che uno sia vissuto a lungo perché ha i
capelli bianchi o le rughe: non è vissuto a lungo, ma ha esistito a lungo.”
Io so che lui, la sua vita, non l’ha bruciata, perché ha vissuto più lui in
26 anni che chiunque altro. Ha esistito poco, ma vissuto a lungo, per
riprendere il Maestro romano. Ed è lui che dovremmo prendere come esempio, per
vivere davvero. Lui, che non si sentiva mai abbastanza – e per questo motivo si
impegnava sempre a fondo – e che era una delle poche persone che credono ancora
in quel 10% di possibilità.
Positivo. Pensare positivo. Sempre.
Anche io vorrei farlo in questo momento, mentre scrivo e le lacrime mi
rigano ancora il volto. Perché aspetto
ancora che lui stia solo recitando uno dei suoi copioni, che questa volta
l’abbia scritto davvero bene, il suo teatro dell’assurdo, e che stia ridendo di
sottecchi, per poi spuntare all’improvviso con la telecamera e dire “Buona la
prima!”. Anche se so che non potrà succedere.
Vorrei avere la stessa forza che hai sempre avuto tu. In generale, non solo
oggi e in questo giorni.
Vorrei anche io affrontare la vita di petto, farle vedere che posso essere più
forte di lei.
Però io purtroppo non sono te. Tu che mi dicevi che ci sono cose di me
silenziosamente belle, sguardi che ti acquietano nel travaglio della giornata,
l’abbraccio perfetto nel mentre di ogni cosa… voglio lasciarti tutte queste
cose.
Per vederti finalmente sereno, perché ora so per certo che lo sei. Ti prometto
che lo sarò anche io.
Alla fine la vita è come un viaggio Sarno- Napoli in
Circumvesuviana: un po’ disastrata, incontri gente, ne conosci di nuova, c’è
chi si ferma prima, chi arriva intatto alla meta, chi deve cambiare binario.
Diciamo che tu hai solo fatto un cambio treno. Ci rivediamo a Napoli, Clà…
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Grazie ad Alessandro Chianese per l'illustrazione |